Le principali leggende che vengono raccontate ancora oggi nel paese di Riola Sardo sono le seguenti:
Is perdas de sa marchesa
Esistono diverse varianti di questa leggenda, la più conosciuta narra che nel periodo in cui esisteva la città di Tharros, c'era una ricca marchesa che possedeva un vastissimo territorio nei dintorni della città stessa. Questa marchesa seminava tanto grano, però non era mai contenta di quello che produceva. Un giorno nel periodo in cui gli operai separavano il grano dalla paglia, fece una brutta giornata, tirava poco vento e la marchesa era inquieta. Ella era molto egoista ed avara, tanto che non dava mai un soldo ai poveri. Quel giorno, ordinò agli operai di lavorare lo stesso, anche se il vento non era propizio per quel lavoro. In quel momento si presentò un poverello per chiedere l'elemosina, ma la marchesa lo cacciò via con brutte maniere. Quel poveretto, che era Gesù, la volle punire e con un miracolo trasformò in colline il mucchio del grano e quello della paglia. La marchesa disperata prese la sua carrozza con i cavalli e scappò via verso Tharros, ma a metà strada fu trasformata in pietra. I cavalli corsero a lungo e Gesù li fermò vicino a Santa Caterina e li trasformò in pietra. Oggi quel mucchio di grano si chiama monte Trigu e quello di paglia monte e Palla e le pietre in cui fu trasformata la marchesa "Is perdas de sa marchesa".
Sa sennora de S'onnigazza
Esisteva a Riola un castello detto "su casteddu de S'onnigazza" dove abitava una signora che non usciva mai alla luce del giorno e aveva la carnagione molto chiara.
Per andare in chiesa passava in un sotterraneo che conduceva dalla sua casa alla chiesetta di San Quirico. Usciva solo di notte perché le dava fastidio la luce del sole. Un giorno credendo che fosse ancora notte uscì, ma poiché era già l'alba una goccia di rugiada le cadde sul viso e morì.
Il castello è esistito davvero perché nella zona detta S'onnigazza pare che ci sia ancora un fossato con in mezzo una collinetta.
Adesso in ricordo di questa leggenda c’è un proverbio riolese che dice "Ze se pagu delicata non astessi mancu sa sennora de S'onnigazza ca esti morta pò un istiddiu de arrosada".
La leggenda della vernaccia
Esistono numerose varianti di questa leggenda, una di queste narra che tanti anni fa era venuta in Sardegna Santa Cristina per predicare la religione cristiana.
Andando di villaggio in villaggio aveva notato che il popolo sardo era molto povero, allora aveva pregato Dio affinchè concedesse ai sardi qualche grazia. Dio le promise che avrebbe fatto crescere una vite che avrebbe prodotto un vino speciale. In quel momento la Santa si commosse e pianse. Nel punto in cui caddero le sue lacrime spuntò la vite che produsse uva bianca dorata, dalla quale si ottenne un vino pregiato e squisito dal sapore amarognolo, dal profumo del fiore di pesco e dal colore dorato, che si chiama ancora oggi vernaccia. Ora la vernaccia (in dialetto riolese Sa crannazza) è un vino DOC, su circa 1600 ettari di terreno coltivato, quasi la metà si trova nel territorio di Riola.
La leggenda dei morti "I tarabusi"
Prima che le paludi vicine al paese venissero bonificate, ogni venerdì verso sera, si sentivano le urla rauche dei tarabusi. Il terribile muggito dell’uccello, conosciuto come “su boi forraiu” ( in latino “bos taurus"), era talmente impressionante tanto che il bestiame che vi pascolava fuggiva spaventato, così gli uomini che trovasi nei paraggi. Secondo la superstizione popolare si credeva che queste urla appartenessero a delle anime in pena, ossia alle anime di quelle persone che nella vita terrena si erano comportate male. Dopo la morte la loro anima era andata in possesso del diavolo, pertanto si trovavano nella palude, facendo penitenza.
Le mucche del Sinis
Narra la leggenda che molti anni orsono un povero contadino di Cabras, essendo stanco di patire la fame, si fosse rivolto ad una jana che viveva sulla montagna di Sinis perché lo rendesse ricco.
Commossa dalle preghiere dell'uomo, la magica creatura si era librata in aria, posandosi in cima al nuraghe in cui dimorava. Poi aveva estratto dalla tasca del suo grembiule un pugno di frumento e lo aveva sparso tutt'intorno. Toccando il terreno, i chicchi di frumento si erano trasformati in altrettante vacche nere che, non appena comparse, avevano partorito ognuna un vitellino dello stesso colore. Raggiante di gioia, il contadino aveva ringraziato di cuore la fata ed era tornato a Cabras con l'imponente mandria.
Il poveretto, però, non aveva fatto in tempo a raggiungere la sua abitazione, che già tutte le mucche erano scomparse.
A dire di alcuni era successo che il diavolo le aveva rubate, approfittando del loro pelame nero come la pece che le confondeva con l'oscurità della notte. Secondo altri, invece, le mucche svanivano nel nulla, perché le magie delle janas, diversamente dai miracoli dei santi, sono destinati a non durare troppo a lungo.
Fatto sta che il contadino tornò dalla jana e si lamentò per quello che era successo. Lei allora, tornò di nuovo ad innalzarsi fino alla cima del nuraghe, ripetendo ancora l'incantesimo dei chicchi di frumento. Poi spiegò al contadino quel che avrebbe dovuto fare per impedire alle bestie di svanire un'altra volta. "Ebbene" gli disse "se non vuoi che le vacche spariscano, toccale con la mano, e fa loro sulla schiena un segno di croce". Poi gli rivelò qual era la sacra preghiera della croce che doveva recitare nel compiere l'operazione. Il contadino obbedì e sul pelame nero di ognuna delle mucche comparve miracolosamente una vistosa croce bianca.
Da allora le vacche fatate non scomparvero più. Anzi, dalle parti di Cabras c'è chi giura che la mandria della jana esiste ancora, perché si era recitata la preghiera della croce e vi si era posto mano, rendendo in questo modo le bestie immortali.